Meditazioni del Tempo Pasquale 2018

6 maggio 2018 – VI domenica di Pasqua

 (anno B)

Liturgia della Parola: 1lettura: At 10,25-26.34-35.44-48 – Salmo responsoriale: Sal 97 – 2lettura: 1Gv 4,7-10 – Vangelo: Gv 15,9-17.

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.

Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Parola del Signore

 

Omelia

Gesù non ci tratta come servi ma come amici, poiché era Dio e si è fatto uomo, abbassandosi al nostro livello. E ci ha chiamati a partecipare della stessa relazione d’amore che c’è tra lui e il Padre: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi». Per questo ci esorta a custodire la sua amicizia, e ci insegna che possiamo custodirla solo se osserviamo il suo comandamento: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi». L’amore che Dio Padre riversa sul Figlio Gesù, egli lo riversa su di noi e ci comanda di riversarlo sul prossimo. L’amore di Dio è come acqua che scorre e fuoco che arde. Quindi se vogliamo che scorra e arda in noi dobbiamo riversarlo sul prossimo. Se pensiamo di trattenerlo in modo egoistico solo per noi, lo perdiamo del tutto, se invece lo effondiamo sul prossimo, si accresce anche in noi portandoci gioia. Tutto è partito da Dio Padre che ci ha amato mandando il Figlio suo Gesù Cristo come vittima di espiazione per i nostri peccati, e da Gesù che ci ha scelti come suoi discepoli. Gesù ci manda perché portiamo frutto e il nostro frutto rimanga. Domenica scorsa, parlando della similitudine della vite e dei tralci, abbiamo spiegato che portare frutto significa amare come Gesù. Nel vangelo di oggi Gesù lascia intendere che portare frutto significa anche coinvolgere altre persone nella sua amicizia.

Il salmo diceva: «Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,/agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia. Tutti i confini della terra hanno veduto/la vittoria del nostro Dio». Ma come potranno i popoli conoscere la salvezza del Signore senza che nessuno gliela annunci? Dio infatti agisce nella storia senza farsi notare eccessivamente, così i suoi interventi passano inosservati se non c’è qualcuno che li spieghi. Gli avvenimenti più importanti della salvezza, la passione, la morte e la risurrezione di Gesù, se non fossero stati raccontati dai vangeli, sarebbero stati ignorati completamente dalla storia profana. Dunque dobbiamo annunciare agli altri che Gesù Cristo è il salvatore del mondo, e lo dobbiamo fare con la parola e la testimonianza della vita. Non si tratta della nostra parola ma della Parola della predicazione capace di suscitare la fede. Abbiamo ascoltato nella prima lettura che Cornelio e la sua famiglia credono alla Parola che annuncia Gesù Cristo morto e risorto, e subito discende su di loro lo Spirito Santo: «Lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola…li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio». Mediante la predicazione della Parola e il dono dello Spirito Santo si diventa amici di Gesù e si partecipa della relazione d’amore tra lui e il Padre. La predicazione della Parola ha una sua efficacia che non dipende da chi l’annuncia, ma sicuramente fa più presa su chi l’ascolta quando viene annunciata con la bocca e con la vita. Il predicatore che incarna nella vita la Parola che annuncia, amando come Gesù ha insegnato, comunica gioia e serenità agli altri che, si sentiranno sollecitati a cercare l’amicizia di Gesù.

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29 aprile 2018 – V domenica di Pasqua

 (anno B)

Liturgia della Parola: 1lettura: At 9,26-31 – Salmo responsoriale: Sal 21 – 2lettura: 1Gv 3,18-24 – Vangelo: Gv 15,1-8.

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.

Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.

Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Parola del Signore

 

Omelia

Quando insegna Gesù spesso si serve di immagini, perché vuole che il suo insegnamento si imprima bene nella nostra mente. Nel vangelo di oggi si serve dell’immagine della vite e dei tralci per esprimere il legame tra lui e noi: “Io sono la vite voi i tralci”. Il Padre è l’agricoltore che ha piantato questa vite mandando Gesù sulla terra. Questo legame vitale tra noi e Gesù si stabilisce nel battesimo mediante il dono dello Spirito Santo. Da quel momento la nostra vita è unita a quella di Gesù, come un fiume che confluisce in un altro fiume, o per restare nell’immagine usata da lui come un tralcio che viene innestato nella vite. Per poter portare frutto il tralcio deve restare unito alla vite, se si distacca non porta più frutto. Per questo ci Gesù esorta: “Rimanete in me”.

Ma in che modo restiamo uniti a Gesù?

Innanzitutto come ci fa capire lui stesso, accogliendo in noi la sua parola: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi”.

E poi in un’altra occasione Gesù ci insegna un altro modo per restare uniti a lui, quando parla dell’eucaristia: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”.

Se stiamo uniti a Gesù accogliendo la parola e nutrendoci dell’eucaristia, allora diventiamo suoi discepoli che portano frutti di vita eterna, cioè amano come lui. I frutti di cui parla Gesù sono le opere di amore, un amore come il suo anche quando costa.

Perché quando l’amore non costa tutti sono pronti ad amare, quando costa molti per non dire tutti si tirano indietro. Così la seconda lettura ci esortava dicendo: “Non amiamo a parole né con la lingua ma con i fatti e nella verità”.

Dobbiamo dire che la parola e l’eucaristia non rinsaldano in modo magico il nostro legame con Gesù, perché si tratta di un legame personale che richiede la nostra disponibilità sincera. Ricordiamoci della parabola del seminatore dove si dice che tre quarti del seme sparso vanno perduti perché cadono su un terreno cattivo, la strada, i sassi, le spine. Quindi può succedere, che pur partecipando in continuazione alla messa, alla prova dei fatti poi non riusciamo a produrre frutti di amore come vuole Gesù. Dobbiamo esaminarci per vedere quali sono in noi gli ostacoli che ci impediscono di essere terreno buono. Quando la parola e l’eucaristia trovano in noi la disponibilità del terreno buono, rinsaldano sempre più il nostro legame vitale con Gesù, rendendoci suoi discepoli che portano frutti di opere buone. Una comunità cristiana dove i suoi membri vivono da autentici discepoli di Gesù diventa capace di attirare altre persone, che vogliono diventare discepoli di Gesù. Perché chi vive amando come Gesù con la sua serenità contagiosa suscita negli altri simpatia e ammirazione per il suo stile di vita. I primi cristiani come si leggeva nella prima lettura erano autentici discepoli di Gesù Cristo, e così la chiesa cresceva, sia perché i suoi fedeli progredivano sempre più nella fede e nell’amore, e sia perché nuove persone si convertivano al vangelo: “La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero”.

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22 aprile 2018 – IV domenica di Pasqua

 (anno B)

Liturgia della Parola: 1lettura: At 4,8-12 – Salmo responsoriale: Sal 117 – 2lettura: 1Gv 3,1-2 – Vangelo: Gv 10,11-18.

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Parola del Signore

 

Omelia

Nessun pastore tra gli uomini, per quanto buono possa essere e per quanto ami le sue pecore, sarebbe mai disposto a dare la vita per esse. Ma le pecore per cui Gesù dona la vita siamo noi, che evidentemente siamo preziosi ai suoi occhi. In un’altra occasione l’evangelista narra che Gesù, vedendo le folle che lo cercavano, ne sentì compassione, perché erano come pecore senza pastore. I pastori c’erano, c’erano i capi religiosi e i capi politici, ma non si curavano del bene del popolo. Il discorso di Gesù ha sullo sfondo la polemica dei profeti contro i cattivi pastori del popolo. In particolare il profeta Ezechiele a nome di Dio rimprovera i pastori che pascolano se stessi e abbandonano il gregge. Nello stesso tempo Dio annuncia di prendersi cura personalmente del suo gregge e di mandare un pastore secondo il suo cuore. Gesù, presentandosi come il buon pastore, annuncia che si sta realizzando la parola di Dio detta dai profeti. Gesù è il buon pastore che dà la vita per le pecore, a differenza del mercenario che non solo non dà la vita, ma quando vede un pericolo per il gregge, lo abbandona e fugge via. Il mercenario è animato solo dal proprio interesse e pasce le pecore solo perché viene pagato per fare questo. Gesù invece dà la vita per le pecore perché gli appartengono. Quindi c’è un legame tra Gesù e le pecore, cosa che non può dirsi del mercenario perché è un estraneo, al quale le pecore non appartengono. Gesù ha dato la vita per tutti noi, dimostrandoci concretamente il suo amore, perché noi gli apparteniamo. E quindi anche noi ricevendo il suo amore siamo chiamati a dare la vita per i fratelli. Concretamente non ci viene chiesto di morire per i fratelli, ma di amarli fino al punto di essere disposti a dare la vita per loro. Quindi è chiaro che se siamo disposti a dare la vita per loro, come ha fatto Gesù per noi, saremo disposti a fare qualsiasi altra cosa, come a prenderci cura di loro, aiutarli, perdonarli, comprenderli, farci carico delle loro difficoltà.

Se tutti siamo chiamati a dare la vita per i fratelli, sono chiamati a farlo più degli altri quelli che Gesù ha posto a prendersi cura del suo gregge, cioè vescovi, sacerdoti e diaconi. Sono cristiani come tutti gli altri ma chiamati e consacrati da Gesù per continuare la sua missione di guidare, insegnare, santificare il suo popolo, in modo che possa essere un popolo profetico, sacerdotale e regale.

Come pastori della chiesa ci deve animare l’amore di Gesù Cristo che ha dato la vita per noi. Non è un compito facile, perché siamo responsabili della salvezza degli altri. Solo un contatto continuato con Gesù ci permette di compiere bene questa missione. Se ci distacchiamo da lui, inevitabilmente diventeremo dei mercenari, perché ci viene a mancare l’amore vero e riaffiora in noi l’egoismo della nostra natura.

Come pastori che amano i fedeli, dobbiamo aiutarli a puntare tutta la loro vita su Gesù. Infatti “in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati”. Dobbiamo aiutarli a maturare nella fede, insegnando loro a confidare nel Signore, perché “è meglio rifugiarsi nel Signore/che confidare nell’uomo”. Dobbiamo aiutarli a vivere da figli di Dio. Chi incomincia a maturare nella fede, inevitabilmente va incontro alle ostilità del mondo, come ci diceva la seconda lettura. Perché se il mondo non ha accolto Gesù, non accoglie nemmeno i cristiani che lo seguono: “Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui”. Come pastori abbiamo il compito di sostenere i fedeli nella lotta contro la mentalità del mondo incredulo e peccatore, che vuole toglierci la fede, la speranza e la carità. Se i pastori che guidano i credenti devono somigliare a Gesù e devono condurre le pecore a lui, le pecore se vogliono appartenere al gregge di Gesù devono ascoltare la sua voce quando parla per bocca dei suoi inviati: “Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”.

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15 aprile 2018 – III domenica di Pasqua

 (anno B)

Liturgia della Parola: 1lettura: At 3,13-15.17-19 – Salmo responsoriale: Sal 4 – 2lettura: 1Gv 2,1-5a – Vangelo: Lc 24,35-48.

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni»
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Parola del Signore

 

Omelia

Nel vangelo abbiamo ascoltato che Gesù risorto, parlando ai suoi discepoli degli avvenimenti della sua pasqua, cioè la morte e risurrezione, dice loro: “Di questo voi siete testimoni”. Anche Pietro nella prima lettura annunciando a nome di tutti gli altri discepoli la morte e la risurrezione di Gesù, conclude dicendo: “Noi ne siamo testimoni”.

Secondo il senso comune del termine i discepoli sono testimoni della morte e risurrezione, perché hanno visto Gesù morto e poi lo hanno visto risuscitato. Nel vangelo si parla appunto di un’apparizione di Gesù risorto. I discepoli constatano sensibilmente che Gesù il crocifisso è risorto. Tuttavia nel Nuovo Testamento quando si parla dei ‘testimoni’ di Gesù non si intende solo di persone che hanno visto, perché altrimenti, almeno per la sofferenza e la morte di Gesù, sarebbero testimoni anche i capi religiosi, Pilato e la folla. Costoro nel Nuovo Testamento non sono considerati testimoni perché hanno visto Gesù ma non hanno compreso chi fosse, lo hanno visto morire ma non hanno compreso il significato della sua morte. I discepoli invece sono testimoni perché oltre a vedere hanno compreso che Gesù di Nazareth è il Figlio di Dio morto e risorto per la salvezza di tutti gli uomini. Sono arrivati a questa comprensione perché istruiti da Gesù stesso, il quale indica nelle Scritture la chiave di lettura di quello che era avvenuto: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme”.

Le Scritture permettono di comprendere che Gesù di Nazareth è il Cristo che ha guadagnato la salvezza di tutti gli uomini con la sua morte e risurrezione. Ma i discepoli sono testimoni ancora per un altro motivo. I discepoli hanno visto, hanno compreso e hanno sperimentato la salvezza di Gesù, lasciandosi trasformare da lui. La seconda lettura ci ricorda che la salvezza comporta la liberazione dal peccato e l’esperienza dell’amore di Dio. Chi incontra Gesù Cristo e sperimenta la sua salvezza viene inevitabilmente trasformato: “Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti”. I suoi comandamenti si riassumono nell’amore vicendevole. Chi non ama come lui, vuol dire che non ha sperimentato seriamente la sua salvezza. Quindi i discepoli sono testimoni perché hanno visto, hanno compreso e hanno sperimentato la salvezza, lasciandosi assimilare a Gesù. Per questo la loro testimonianza a Gesù Cristo non si limita all’annuncio ma si esprime con una vita modellata su quella di Gesù.

Sotto questo aspetto anche noi siamo chiamati ad essere testimoni di Gesù morto e risorto. Noi abbiamo creduto in Gesù perché abbiamo accolto la testimonianza dei primi discepoli custodita e trasmessa dalla comunità cristiana. Facendo l’esperienza della salvezza di Gesù e lasciandoci trasformare dal suo amore, siamo chiamati a rendergli testimonianza. Siamo chiamati a testimoniare la nostra esperienza di salvezza con la bocca, come fa’ l’uomo che parla nel salmo, e poi con i comportamenti. Con la bocca parliamo di come Gesù ci ha salvato, con la vita mostriamo le conseguenza della sua salvezza, amando come lui fino al sacrificio.

Una comunità cristiana formata da credenti che testimoniano la salvezza di Gesù con la parola e con la vita, diventa una forza potente di attrazione per i lontani, conducendoli a Gesù Cristo. Purtroppo noi cristiani, a causa delle nostre resistenze, non sempre incontriamo Gesù Cristo. Infatti se partecipiamo alla messa e ci accostiamo ai sacramenti, ma non siamo convertiti, non incontriamo Gesù Cristo. Per questo nella comunità cristiana ci sono luci e ombre. Ci sono cristiani che testimoniano Gesù Cristo e altri che si dicono cristiani, ma non gli rendono testimonianza, perché non si comportano come lui si è comportato. I cattivi cristiani fanno più rumore, i veri cristiani non fanno rumore ma sono molti di più. Se consideriamo la comunità cristiana, sparsa in tutto il mondo, dagli inizi fino ad oggi, ci appare formata da una moltitudine immensa di testimoni, che nessuno riesce a contare, uomini e donne di ogni età che, facendo l’esperienza della salvezza di Gesù, si comportano come lui si è comportato. La loro vita annuncia al mondo che Gesù è veramente risorto e rende simili a se quelli che lo incontrano con cuore sincero.

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8 aprile 2018 – II domenica di Pasqua o della divina misericordia

Liturgia della Parola: 1lettura: At 4,32-35 – Salmo responsoriale: Sal 117 – 2lettura: 1Gv 5,1-6 – Vangelo: Gv 20,19-31.

Dal Vangelo secondo Giovanni

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Parola del Signore

 

Omelia

Gesù risorto comunica ai discepoli i frutti della sua Pasqua, la pace, cioè la salvezza, e il dono dello Spirito Santo. Infatti con la sua morte Gesù ha espiato i nostri peccati, con la sua risurrezione ci rende partecipi della vita divina mediante il dono dello Spirito Santo. Gesù comunica ai discepoli il dono dello Spirito compiendo un gesto che ricorda la creazione dell’uomo, raccontata nel capitolo secondo del libro della Genesi. Si dice che Dio alitò sul pupazzo di terra e l’uomo divenne un essere vivente. Con il suo alito Dio ha comunicato all’uomo l’anima che è il principio della vita naturale. Gesù risorto, il Figlio di Dio, con il suo soffio comunica ai discepoli lo Spirito Santo, il principio della vita soprannaturale. Nello stesso momento Gesù affida ai discepoli il compito di continuare nel mondo la sua missione di salvezza, portando agli uomini i frutti della sua Pasqua, il perdono dei peccati e il dono dello Spirito Santo. I discepoli non potranno comunicare a tutti i frutti della Pasqua ma solo a coloro che riterranno degni. Dovranno pertanto compiere un discernimento.

Ma su quale base?

Dal seguito del vangelo comprendiamo che per poter ricevere i frutti della Pasqua bisogna credere all’annuncio della comunità cristiana che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. Tommaso rifiutandosi di credere ai suoi compagni, che gli annunciavano la risurrezione di Gesù, non può ricevere i frutti della Pasqua. La risurrezione infatti è la prova che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. I compagni rappresentano la comunità cristiana in embrione che testimonia Gesù Cristo. Per credere che Gesù è davvero risorto chiede di poterlo vedere e toccare. Gesù appare e gli dà la prova che ha chiesto, e Tommaso ripara alla sua incredulità con una professione di fede: “Mio Signore e mio Dio!”. Ma il Signore lo rimprovera amorevolmente, proclamando beati quelli che crederanno senza vedere: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”.

Chi sono questi beati che hanno creduto senza aver visto?

Siamo noi che abbiamo creduto in Gesù senza averlo visto né morto né risorto. Abbiamo creduto all’annuncio dei primi discepoli che ha varcato il tempo e lo spazio ed è arrivato sino ai nostri antenati, che hanno lo hanno accolto con fede e poi lo hanno trasmesso a noi. La fede è l’inizio della vita cristiana, che si sviluppa e cresce mediante l’amore di Dio riversato in noi per mezzo dello Spirito Santo. Nella seconda lettura si parla dell’autenticità della fede e dell’amore. Purtroppo nella comunità cristiana insieme all’insegnamento buono, quello trasmesso dagli apostoli, si infiltra anche l’insegnamento sbagliato, trasmesso dai cattivi maestri, e questo da sempre sin dagli inizi. Nella seconda lettura si precisa che la fede autentica è indirizzata a Gesù di Nazareth, quello che è venuto con acqua e sangue, che cioè ha svolto la sua missione a partire dal battesimo di Giovanni ed ha versato il suo sangue morendo sulla croce. Allo stesso modo l’amore per essere autentico deve essere rivolto a Dio e al prossimo. Quando la fede e l’amore sono autentici generano tra i credenti comunione e condivisione. Si dice nella prima lettura che “la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola”, e poi che “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune”. Quando la comunità cristiana si lascia plasmare dalla fede e dall’amore autentici diventa una manifestazione storica di Dio. Noi crediamo che il nostro Dio è uno solo ma non è solitario, perché è una comunità di persone che si amano così tanto da essere un solo Dio. Quest’amore di Dio viene riversato in noi mediante lo Spirito Santo e noi siamo chiamati a riversarlo sui fratelli. E’ un amore per sempre, diceva il salmo, un amore che non cambia mai e non viene mai meno. Sperimentando quest’amore siamo chiamati ad amare anche noi allo stesso modo.

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 1 aprile 2018 – Pasqua di risurrezione

 (anno B)

Dal Vangelo secondo Giovanni

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 

Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 

Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti
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Parola del Signore

 

Omelia

Dinanzi alla tomba vuota i discepoli si trovano impreparati. Maria di Magdala pensa che qualcuno abbia trafugato il corpo di Gesù, Pietro osserva la scena e non sa che cosa pensare: “Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. Solo Giovanni “vide e credette”, vide la scena, che si prestava a diverse interpretazioni, e diede la lettura giusta, perché crede che Gesù è risorto. Giovanni è il discepolo modello. Quando tutti gli altri hanno abbandonato Gesù, lui solo lo ha seguito fino ai piedi della croce. Ed ora lui solo comprende mediante la fede che Gesù è risuscitato dai morti. Tuttavia Giovanni tenne la cosa per se e non la comunicò a nessuno. Quando Gesù poi appare ai discepoli, li rimprovera perché non hanno creduto alle Scritture, alle sue parole, con cui aveva preannunciato la passione, morte e risurrezione, e alle donne che lo avevano visto risuscitato. Gesù appare ai discepoli perché, come dice la seconda lettura, sono i testimoni scelti da Dio, che dovranno annunciare a tutti gli uomini la risurrezione. L’avvenimento della risurrezione è garanzia di verità di tutto quello che Gesù ha detto di se stesso e di Dio, e delle promesse che ci ha fatto. Poiché Gesù è risorto, è veramente Figlio di Dio, tutto quello che ci ha fatto conoscere del Padre è vero, e certamente si realizzeranno le promesse che ci ha fatto sulla vita futura. Nella prima lettura abbiamo ascoltato come i cristiani degli inizi annunciavano Gesù Cristo. La prima lettura contiene un esempio di ‘kerigma’, cioè di primo annuncio del vangelo. Quelli che accoglievano ‘il kerigma’, credendo in Gesù Cristo, venivano poi istruiti nella fede mediante la catechesi. Il ‘kerigma’ fa una breve presentazione di Gesù, per concentrarsi sull’epilogo della sua vita terrena: “Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno”. Tutti gli uomini devono sapere che Dio ha costituito Gesù Cristo salvatore e giudice. Al momento presente Gesù è il salvatore di tutti gli uomini. Ma per essere salvati gli uomini devono credere in lui: “Chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome”. Chi rifiuta di credere in Gesù, si priva da se stesso dell’unica salvezza possibile. E quando Gesù verrà a giudicare i vivi e i morti, alla fine del mondo, accoglierà con se quelli che hanno creduto in lui, e lascerà nella condanna che hanno scelto quelli che non hanno voluto credere in lui. Purtroppo, davanti a Gesù Cristo, gli uomini si dividono. Ci furono quelli che lo hanno rifiutato e fatto uccidere, perché non credevano che lui era il Figlio di Dio. E ci furono quelli che hanno creduto in lui come i discepoli. Questa divisione si ripresenta in ogni generazione. Anche oggi ci sono i credenti e ci sono quelli che non credono che Gesù sia il Figlio di Dio. Tutt’al più sono disposti a credere che sia un grande personaggio della storia. Si realizza quello che diceva il salmista: “La pietra scartata dai costruttori/è divenuta la pietra d’angolo./Questo è stato fatto dal Signore:/una meraviglia ai nostri occhi”. Quelli che scartano Gesù perché non possono accettare che è il Figlio di Dio ragionano secondo la mentalità del mondo incredulo e peccatore. Quelli che accolgono Gesù e credono in lui si lasciano ammaestrare da Dio che ha costituito Gesù la pietra d’angolo nella costruzione della nuova umanità. Tra questi ci siamo anche noi qui riuniti a celebrare la Pasqua del Signore. Noi celebriamo la Pasqua del Signore con la santa messa che è la ripresentazione della passione, morte e risurrezione di Gesù. Questi fatti avvenuti una volta per tutte, sono ripresentati nella santa messa. Quindi noi celebriamo la Pasqua ogni volta che celebriamo la messa. Tuttavia ci sono dei giorni in cui la celebrazione della messa acquista una importanza maggiore. Si tratta della celebrazione di oggi, Pasqua annuale, e della domenica, Pasqua settimanale. Nella seconda lettura l’apostolo ci dice con quale atteggiamento dobbiamo accostarci alla santa eucaristia. Come i giudei non potevano mangiare la carne dell’agnello con pane lievitato ma solo con pane azzimo, così noi cristiani non possiamo mangiare la carne di Gesù con lievito di malizia e di perversità ma con àzzimi di sincerità e di verità. Dobbiamo accostarci all’eucaristia con un cuore convertito al Signore, perché se lo facciamo mentre viviamo nel peccato non entriamo in comunione con lui.